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Il racconto con il quale ho partecipato alla seconda edizione di questo premio nazionale si intitola “Noi, terra di nessuno”.

Il premio “Melina Doti”, riservato agli scrittori over 50, si propne come memoria attiva di un’autrice che con le sue opere ha saputo infrangere la barriera del tempo, restando ancorata alla roccia delle proprie radici. Perché il linguaggio delle emozioni non è mai retorica ma, come comunicano gli scritti di Melina Doti, un modo per parlare della propria terra, la Basilicata, rendendone universali e condivisi i valori, i sentimenti, gli sguardi.

Attenendomi al tema ‘Le radici al tempo dei social e del Coronavirus’ ho raccontato una storia surreale ambientata in un paese immaginario che si chiama Zora che ha per protagonista un anziano professore di lettere che si chiama Marco, invitato a scrivere la cronaca dal fronte della vecchiezza da un suo ex alunno, oggi giornalista di punta, che si chiama Alberto Tartari per un settimanale che si chiama ‘Reset’. Molte le riflessioni sul tempo, sulla vita e sulle radici, sulla funzione salvifica dei social nei giorni più bui, sulla pandemia che ci ha reso quasi invisibili a noi stessi. Ma anche ‘sospesi’, come accade in guerra nella terra di nessuno.

Ogni riferimento alle “Città invisibili” di Calvino non è puramente casuale.

Questa la motivazione della giuria per il mio terzo posto: “Racconto ben scritto, in cui si dà voce ai sentimenti generati dall’incubo della pandemia, dove giorno per giorno crollano le certezze e dilaga la paura. Il racconto entra nel dramma di una situazione particolare: e se la persona più cara è affetta da una patologia neurovegetativa? Come si va avanti in pieno lockdown? Scorrono il senso dell’ignoto, le solitudini, i silenzi. La nozione del tempo che si fa breve, che in un attimo può schiantarsi sulle secche della vecchiaia….”

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